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Mutitu Water Project, una festa per trentatré

Una delle famiglie beneficiarie

Mutitu Water Project, una festa per trentatré

In Kenya, grazie ai sostenitori del Cesvitem, 33 famiglie povere non dovranno più scrutare il cielo in attesa della pioggia: da oggi le loro abitazioni sono collegate alle linee dell'acquedotto.

“La cosa più straordinaria è che non dobbiamo più guardare il cielo, scrutare le nuvole. Che piova o no, quasi non fa più differenza”. Bastano queste parole di don Romano Filippi, da quarant’anni missionario in Kenya, per comprendere il piccolo grande miracolo del Mutitu Water Project. Un acquedotto fortemente voluto dalla gente di Mugunda, che oggi porta acqua e vita a circa 14 mila persone. E nelle scorse settimane, grazie ai sostenitori del Cesvitem, è stato possibile scrivere un’altra pagina di questa straordinaria storia di sviluppo: come anticipato negli scorsi mesi, 33 famiglie povere hanno avuto la possibilità di connettere la loro abitazione con le linee del Mutitu. L’acqua ora arriva direttamente a casa, garantendo una svolta fondamentale in termini di qualità della vita.

“Ricordiamo sempre - sottolinea don Romano, in queste settimane in Italia - che siamo in una zona rurale, dove molte persone vivono in case isolate in mezzo alla campagna. I 350 chilometri di linee del Mutitu sono ovviamente fondamentali, ma per queste famiglie non bastavano, perché comunque erano ancora costrette a camminare per chilometri prima di trovare il water point comunitario più vicino. Era ed è fondamentale portare l’acqua a portata di mano. O meglio, a portata di gambe”. Da qui l’idea delle connessioni private e di una raccolta fondi per garantire alle famiglie più povere la possibilità di coprire le spese necessarie per il collegamento. Il Cesvitem a dicembre 2010 ha inviato una prima tranche di 10 mila euro, grazie ai quali, nel primo semestre di quest’anno, è stato possibile realizzare trentatré connessioni. “Si tratta di famiglie appositamente selezionate tra le più povere della comunità: sono nuclei particolarmente numerosi, o in cui il padre è venuto a mancare, o con la presenza di figli disabili. Gente che ha poco o nulla, ma che nonostante tutto è riuscita a dare un suo piccolo contributo”. Anche in questa occasione, infatti, don Romano è rimasto fedele al suo motto: “Se tu mi dai uno, io ti do un milione; ma se mi dai zero, ti do un milione di zeri”. “Non dobbiamo abituare la gente a ricevere e basta: anche i più poveri possono, devono attivarsi per trovare delle risorse. Anche nel caso delle connessioni ad ogni famiglia è stato chiesto qualcosa: c’è chi ha dato delle giornate di lavoro, chi ha organizzato delle piccole collette tra parenti e amici. Nessuno ha avuto l’acqua completamente gratis”. D’altronde se oggi il Mutitu è riconosciuto dalle autorità del Kenya come uno dei progetti di idraulica rurale più importanti del paese, molto lo si deve al coinvolgimento in ogni fase della comunità locale.

L’idea di autosviluppo del Sud del mondo passa anche da qui. “Avere l’acqua in casa - spiega don Romano - non significa solo avere da bere. Significa anche poter coltivare un pezzo di terra, o allevare qualche animale. Significa, in pratica, fare un passo in avanti verso l’autosufficienza alimentare. Non possiamo dipendere in eterno dalle distribuzioni di cibo organizzate dal governo o dalle istituzioni internazionali”. Il cammino del Mutitu non finisce qui. Ci sono ancora 200 famiglie povere in attesa della connessione. Perché tutti possano smettere di scrutare il cielo in attesa della pioggia.

Notizia del 15/07/2011


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