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Rapporto Undp 2011, l'Africa è sempre fanalino di coda

Nonostante una crescita economica da record, i paesi africani continuano a languire sul fondo della classifica dello sviluppo umano. Da qui al 2050 occorre virare su nuovi modelli di crescita, basati sulla sostenibilità e sull'equità.

Nord Europa primo, Africa ultima. Anzi, ultimissima. La classifica dell’Indice di sviluppo umano (Isu), pubblicata nel Rapporto 2011 stilato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), mette ancora una volta in luce le profonde disuguaglianze tra il Nord e il Sud del mondo. Lo studio analizza le condizioni di vita in 187 paesi, misurandone la qualità in base ai livelli di scolarizzazione, l'aspettativa di vita e il reddito pro capite. Se in testa alla classifica troviamo ancora una volta la Norvegia, l’Africa sub sahariana si conferma drammaticamente fanalino di coda: ad eccezione dell’Afghanistan, le ultime trenta posizioni della graduatoria sono tutte occupate da paesi africani. Tra gli ultimi cinque troviamo anche due dei paesi in cui opera il Cesvitem: il Ciad è quint’ultimo. Il Mozambico quart’ultimo.

Emerge così con forza una contraddizione di fondo tra sviluppo umano e sviluppo economico, non casuale se si considera che l'Isu è stato ideato nel 1990 proprio per scardinare le misure puramente economiche dello sviluppo. Nel decennio 2001-2010, ad esempio, tra i dieci paesi con la più alta crescita media del Pil, ben sei erano africani. Nei prossimi cinque anni saranno 7 su 10. Quella mozambicana, in particolare, è stata negli ultimi dieci anni l’ottava economia mondiale per tassi di crescita, con un aumento medio annuo del Pil del 7,9%. Da qui al 2015 salirà addirittura al quarto posto. Eppure il paese continua a languire da anni sul fondo della graduatoria Isu .

In una prospettiva storica, comunque, non mancano i segni di speranza. I curatori del Rapporto sottolineano come tra il 1970 e il 2010, i paesi che presentavano un Isu con un valore compreso nel 25 per cento più basso hanno migliorato il loro indice dell'82 per cento, due volte la media globale. Se il ritmo degli ultimi quarant'anni continuasse per i prossimi quaranta, la grande maggioranza dei paesi raggiungerebbe, entro il 2050, valori di Isu pari o migliori di quelli che oggi appartengono al 25 per cento più alto.

Su questi progressi pende però una doppia, pesante ipoteca. Da un lato la crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, dall'altro l'insostenibilità ambientale degli attuali modelli di sviluppo. In particolare entro il 2050 i progressi nello sviluppo umano potrebbero infatti essere rallentati o persino invertiti senza misure che contrastino i danni ambientali. Il Rapporto richiama l'attenzione su un incontrollato deterioramento ambientale, dalla siccità nell'Africa sub-sahariana ai crescenti livelli dei mari che potrebbero sommergere nazioni come il Bangladesh, che potrebbe causare un aumento dei prezzi alimentari fino al 50% e invertire gli sforzi per migliorare l'accesso all'acqua, agli impianti igienici e all'energia per centinaia di milioni di persone in Africa sub-sahariana e Asia meridionale.

“Offrire a tutti opportunità e scelte – sottolinea Helen Clark, amministratrice dell'Undp - è l’obiettivo fondamentale dello sviluppo umano. Abbiamo una responsabilità collettiva nei confronti dei meno privilegiati fra noi di oggi e di domani nel mondo intero, e l’imperativo morale di garantire che il presente non sia nemico del futuro. Questo Rapporto può aiutarci a illuminare la strada che abbiamo davanti”.

Notizia del 10/11/2011


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