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La storia del mese: il cimitero dei vivi

Giocando a calcio tra le tombe al Manpuesto

La storia del mese: il cimitero dei vivi

El Manpuesto è il cimitero dei poveri di Trujillo. Una distesa di sabbia molto frequentata: tra le tombe le donne si trovano per chiacchierare, i bambini per giocare. Un luogo di morte pieno di vita. Di Marianna Sassano

La macchina correva nel distretto de El Porvenir, città di Trujillo, Perù. El Porvenir, ovvero “il futuro”: come spesso, la toponomastica è uno scherzo un po’ venuto male. La macchina correva e noi c’eravamo dentro: con Roberto Villareal, l’autista del Cesvitem, come sempre alla guida, e Elsi Abigail Lisboa Espilco, l’assistente sociale, anche lei personale Cesvitem al nostro fianco, a spiegarci tutto. Roberto non parla molto: tiene incollata all’orecchio una cuffietta. Cosa ascolti non si sa: “È per non sentire Abi”, scherza. Abi invece parla, conosce tutti e sa cosa nasconde ogni angolo della città, ogni calle, ogni strada che ai nostri occhi è sempre la ripetizione del solito graticolato sabbioso e informe.

La macchina correva e noi c’eravamo dentro; Abi sorrideva e Roberto guidava. Fuori era il tramonto: il che, in un quartiere periferico di una metropoli del Sud del mondo, significa che sta arrivando il momento di allontanarsi da lì, perché cosa potrebbe succederti è meglio non verificarlo. Ma per un fotografo il tramonto è un’ora buona. E allora la macchina ha smesso di correre e si è fermata: nel distretto de El Porvenir, nella periferia delinquente di Truijillo, al momento del tramonto. Roberto non ha spento il motore, è pronto a ripartire. Abigail è scesa con noi: a far vedere a tutti che i tre bianchi, Simone Naletto, presidente del Cesvitem, Tommaso Saccarola fotografo, ed io, erano accompagnati da una del posto.

La luce che calava sfiorava di taglio una delle immagini più spettrali mai viste prima: il Cemeterio Manpuesto. E cioè il cimitero dei poveri, con le tombe che affioravano dalla sabbia, in una distesa nascosta dalla foschia che impediva di capirne i confini. Le tombe senza ordine, senza stile, senza lapidi, senza fiori, senza un percorso per chi ci va a pregare. “Quando c’è stato El Niño, nel ‘98, il muro di arenaria che circondava l’area ha ceduto, e l’uragano ha strappato le bare alla sabbia. Le casse galleggiavano fino al centro della città”, ci spiega Abi. D’altronde, i poveri sono poveri anche da morti.

La luce che calava sfiorava di taglio il Cemeterio Manpuesto, ma del Cemeterio Manpuesto non illuminava i morti; ma i vivi. I bambini, i ragazzi, le donne a crocchi a chiacchierare. Qui ci giocano al calcio. Ci corrono in bicicletta. Hanno piantato le reti per i goal, e i canestri per il basket. Ci buttano anche la spazzatura: ma ai bordi, che è pur sempre un cimitero. Al cimitero ritorna la vita: in una città tutta collinare come Trujillo, una spianata così grande e bella dove la trovi? Dove lo recuperi un terreno così perfetto per farci un campetto? “I peruviani sono ingegnosi”, ci aveva detto una volta Attilio Salviato, rappresentante del Cesvitem in Perù.

Il presidente, il fotografo, e io non avevamo paura. Lì c’erano ragazzi che giocavano, donne che chiacchieravano, in un sonnolento finale di giornata di un giugno tiepido, con la cena ancora da preparare. Lì c’era la vita, non c’era la morte. E attorno al Cemeterio, un mondo pieno di case, di macchine, di gente, di vecchie che tornavano dai campi cariche di foglie di mais per i cuyes, i porcellini d’India. E poi, i bagarini agli angoli con i panini caldi in vendita, e prostitute pomeridiane in attesa, in vendita pure loro. “L'Aire se paga”, c'era scritto sulla porta della bottega di un gommista. L’aria si paga, si paga tutto qui.

La macchina riprende a correre. Roberto non parla. Abi ancora sorride. Il mattino dopo, a colazione, Attilio ci rimprovera: “Ci avete fatto prendere uno spavento, ieri. I rischi lasciateli valutare a noi”.

Notizia del 17/09/2009


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