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Gruppo di volontari del progetto DOT

I volontari del progetto con le loro biciclette

Mozambico: in bicicletta contro la tubercolosi

Grazie ad un progetto promosso da Cesvitem e Family Health International, 50 volontari promuovono la diagnostica e la cura della Tbc nel distretto di Monapo

Da marzo 2009 il Cesvitem Mozambico è impegnato nella realizzazione di un importante progetto per la cura della tubercolosi, che sta coinvolgendo numerosi villaggi del distretto di Monapo, nella provincia settentrionale di Nampula. L’iniziativa, finanziata da Family Health International, ong statunitense impegnata dal 1971 in attività di ricerca, educazione e servizi in ambito sanitario, conta sulla partnership della Direzione Distrettuale della Salute di Monapo e ha l’obiettivo di migliorare la diagnosi e l’accesso al trattamento per la cura della tubercolosi, malattia che ogni anno colpisce 8 milioni di persone nel mondo, provocando due milioni di morti. In Mozambico, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si contano 460 casi ogni 100 mila abitanti. Nel distretto di Monapo si stimano un migliaio di casi all’anno, ma di questi solo 250-300 vengono diagnosticati e curati, con il rischio di un ulteriore diffusione della malattia.

“Molti malati - spiega Piera Zuccherin, rappresentante paese del Cesvitem in Mozambico - perdono la vita nonostante la tubercolosi sia una malattia curabile: in Mozambico nel 2004 il 78% dei pazienti sottoposti a trattamento è guarito. Ma, a causa del numero insufficiente di unità sanitarie e di laboratori e delle scarse informazioni su questa patologia, sono ancora troppe le persone che non accedono né alla diagnosi né alle eventuali cure”.La risposta più efficace a questo problema si chiama DOT (direct observed treatment, terapia direttamente osservata), sigla con cui si indica quel regime di terapia in cui un sanitario, o altra persona adeguatamente formata, si assicura che il paziente assuma la dose di farmaci ogni giorno. Introdotta negli anni ’90, la DOT è considerata attualmente uno dei metodi più efficaci per curare la tubercolosi soprattutto presso le comunità più distanti dalle unità sanitarie. “Tradotto in termini pratici, questo principio si concretizza in 50 volontari che, dopo aver ricevuto un’adeguata formazione, girano per i villaggi del distretto grazie alle biciclette messe a disposizione dal progetto. Il loro compito principale è la raccolta di campioni di saliva da consegnare ai quattro laboratori attivi nell’area, per individuare nuovi casi di tubercolosi e avviare i malati alle cure del caso”. In questo modo in pochi mesi sono stati individuati 389 casi sospetti, di cui 54 sono poi risultati effettivamente positivi e sono stati avviati alle cure del caso.

Sono proprio i volontari i protagonisti principali dell’iniziativa: indossando le magliette e i cappellini del progetto, che li rendono immediatamente riconoscibili, percorrono sui pedali decine e decine di chilometri, il più delle volte su strade non asfaltate. Girano di villaggio in villaggio, incontrano gli ammalati, li consigliano su cosa fare, li avviano alle cure. Organizzano incontri di sensibilizzazione presso mercati, chiese, moschee (ad oggi sono stati realizzati 64 incontri, per un totale di 6.273 persone coinvolte). E poi tornano indietro, sempre in bicicletta, facendo continuamente la spola con i laboratori per consegnare i campioni raccolti. “Grazie ai volontari – conclude Piera Zuccherin – è come se avessimo portato le strutture sanitarie più vicine alla gente: chi è malato può ricevere le cure praticamente a casa e, coinvolgendo anche la sua comunità, le probabilità di successo del trattamento sono molto più elevate”. Questa prima fase del progetto si concluderà il prossimo settembre, ma è già allo studio una seconda fase che si protrarrà fino a luglio 2010.

Notizia del 06/07/2009


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