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La storia del mese: lo choc culturale

Un pranzo di festa a Trujillo. Bistecca per i peruviani, anatra per gli ospiti italiani. Discriminati i primi e privilegiati i secondi? Forse sì, forse no. Di Marianna Sassano

Italia e Perù stanno in due parti del mondo lontanissime: e questo, forse, avrei dovuto ricordarmelo, quel giorno.

È la fine di maggio e Juan Carlos Flores, come ogni anno, ha organizzato una giornata di svago e divertimento per i suoi becados, i ragazzi delle scuole superiori beneficiari delle borse di studio promosse dal Cesvitem. Sono state invitate anche le madri che collaborano al progetto Pininos come responsabili dei Club de Madres: insomma, per tutto il Cesvitem Perù, oggi è un giorno di festa, lontano dai problemi.

Il posto prescelto è un ristorante campestre subito fuori dal centro di Trujillo: una bella struttura con tanto di tavoli all’aperto, un palco per la musica, un campetto, un giardino pieno di fiori. I Becados arrivano a crocchi: alcuni sui mototaxi, altri in affollatissimi minibus, che qui chiamano Micro; le madri si accomodano a chiacchierare ai tavoli loro assegnati: per molte questa è anche un’occasione per conoscersi, scambiare opinioni sul funzionamento dei Club, condividere le esperienze. I ragazzi invece attendono l’inizio del pranzo con una prima partita a pallavolo; nel frattempo Anderson, un becado, controlla l’amplificazione degli strumenti in vista dell’atteso concerto del gruppo da lui diretto, Emocion Andina.

E poi il pranzo inizia. Uno stormo di camerieri depone ai tavoli di ragazzi e madri profumatissime bistecche di manzo accompagnate da patatine fritte giganti e dorate; l’odore universale della carne cotta alla brace si diffonde, l’acquolina sale alla bocca, ma al tavolo degli italiani – che in quei giorni sono in visita alla sede peruviana del Cesvitem -, ancora niente. Finite le decine di bistecche che sconsolatamente ci passano davanti agli occhi, accade però, finalmente, qualcosa. Una delegazione di cuochi e camerieri se ne esce dalle cucine con carrelli e carrellini ripieni di ogni ben di dio: riso, fagioli, capretto, anatra, salsine piccanti o dolci, verdure, patate delle specie più diverse. I carrelli finiscono depositati su un lungo tavolone a nostra completa disposizione: c’è da mangiare per un reggimento.

Mi armo di piatto e cucchiaio e mi avvicino al tavolo del buffet: voglio assaggiare un po’ di tutto. Rimango parca nelle dosi: la quantità è sì abbondante, ma tra noi, le madri, e i ragazzi… Come me, anche tutti i compagni di viaggio e gli operatori del Cesvitem Perù si servono. Attendo che, a mano a mano, anche i becados si avvicinino al tavolo. Attendo, ed è inutile. Non si avvicina nessuno. Quel tavolo è solo per noi, per gli occidentali.

E allora mi monta la rabbia, smetto di mangiare, mi giro verso Mylene Ibañez, che qui lavora proprio per il Cesvitem e che oggi è la nostra guida, e senza essere troppo sottile mi sfogo: “Ma com’è possibile, loro solo una bistecca, e noi tutta questa roba? Scusami ma non voglio più mangiare, mi sento privilegiata, è una bruttissima sensazione”.

Mi guarda, Mylene, con occhi molto più gentili dei miei. “I privilegiati, oggi, non siete voi. Sono i ragazzi e le madri, che non mangiano mai carne di manzo, se non una volta all’anno: questa. Per loro abbiamo speso 20 soles a testa, per voi ospiti solo 6: perché a voi, in segno di accoglienza, offriamo i nostri piatti tradizionali, che costituiscono l’alimentazione quotidiana di qualsiasi peruviano, ma che probabilmente voi invece non avete mai assaggiato. Per i becados non sarebbe stato un giorno di festa se avessero mangiato l’anatra; e probabilmente neppure per voi, se aveste mangiato una bistecca”.

Italia e Perù stanno in due parti del mondo lontanissime: e questo, forse, avrei dovuto ricordarmelo, quel giorno. 

Notizia del 25/01/2011


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