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Tutto il mondo è periferia

Paolo, direttore di un’associazione impegnata in Italia per l’inclusione sociale di persone in difficoltà, racconta la sua esperienza in Perù, ospite della sede del Cesvitem a Trujillo.

Dalle periferie esistenziali del Nord del mondo alle periferie urbane del Perù. È stato davvero un viaggio particolare quello di Paolo Rizzato,  ospite negli scorsi mesi della sede del Cesvitem a Trujillo. Un’esperienza lunga (quaranta giorni) e arricchente, sia dal punto di vista umano che professionale. Paolo è infatti il direttore de Il Portico, associazione di promozione sociale attiva nella Riviera del Brenta, in provincia di Venezia: una realtà con oltre 400 soci, impegnata dal 1985 nella gestione di servizi e interventi finalizzati all’integrazione e all’inclusione sociale di persone in difficoltà.

Che idea ti sei fatto del lavoro del Cesvitem in Perù?
I progetti promossi nelle periferie di Trujillo sono estremamente importanti, per dare in particolare ai più giovani la possibilità di farsi strada nella vita nonostante il contesto di disagio, se non di vero e proprio degrado, in cui sono nati e cresciuti. Mi viene spontaneo un confronto con il mio lavoro. Al Portico lavoriamo con persone che hanno difficoltà dal punto di vista fisico, mentale o ambientale: fattori che spesso finiscono per sommarsi tra loro, creando una situazione di disagio e di emarginazione sociale. In questo quadro, gran parte del nostri impegno si concentra sulla valorizzazione delle capacità residue. Il Cesvitem, invece, lavora sulle potenzialità inespresse, soprattutto nel caso di bambini e ragazzi.  Per questo credo che sia strategico soprattutto l’investimento sull’istruzione: dove ci sono cervelli che crescono, a livello non solo di nozioni, ma anche di consapevolezza, è possibile sperare in uno sviluppo culturale che possa contribuire ad un concreto cambiamento della realtà.

È un po’ il concetto di “autosviluppo” che da sempre ispira l’azione del Cesvitem, nella convinzione che i beneficiari dei progetti debbano essere i primi protagonisti della costruzione di un domani migliore. Vista anche la tua esperienza professionale, credi che sia una strada percorribile?
Certamente sì, a patto che si riesca ad agire in contemporanea anche su due altri fronti, che in un certo senso accomunano il mio lavoro in Italia e quello del Cesvitem in Perù. Uno è quello relazionale, ovvero i rapporti con i beneficiari dei progetti: è un aspetto molto delicato, perché il rischio dell’assistenzialismo, del “tutto è dovuto”, della mancanza di volontà di rendersi realmente autonomi è sempre dietro l’angolo. Anche a causa del fatto che i problemi che devono affrontare sono quotidiani e pressanti, queste persone a volte faticano a rendersi conto del valore dell’aiuto che ricevono, ad andare oltre al soddisfacimento di un bisogno immediato. Un aiuto meno “concreto” che apre però ad un futuro potenzialmente diverso, come appunto un sostegno scolastico, non sempre viene compreso e apprezzato.

E l’altro fronte a cui ti riferivi?
È il livello  che definisco “politico”. Il Portico, ad esempio, cerca di agire contemporaneamente in due ambiti. Da un lato, ovviamente, l’aiuto immediato e solidale alle persone in difficoltà. Dall’altro lato il tentativo di rimuovere le cause stesse del disagio e dell’emarginazione. Non basta risolvere i problemi dei singoli, dobbiamo cercare di migliorare la nostra società nella sua interezza. È una sfida complessa, ancor di più in un contesto come quello peruviano. Per questo, come accennavo prima, occorre soprattutto una nuova cultura, una nuova mentalità.

Il testo completo dell’intervista a Paolo Rizzato sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista del Cesvitem “Il Girotondo”.

Notizia del 30/04/2015


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