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Cinque pozzi per spegnere il grande fuoco

La trivellazione manuale di un pozzo

Fianga, cinque pozzi per spegnere il grande fuoco

In queste settimane in Ciad le temperature arrivano a 43 gradi: è la stagione più calda dell'anno. Ma grazie al Progetto Pozzi, sostenuto dal Cesvitem, "il tempo in cui il fuoco ti prende" fa un po' meno paura.

È tornato. Puntuale come ogni anno. “Ngel de baa huu”, “il tempo in cui il fuoco ti prende”, sta mettendo a dura prova la resistenza del Ciad. In varie località, compresa la capitale N'Djamena, le temperature hanno toccato i 43 gradi, con una media giornaliera di quasi 39 gradi. “Tra marzo e aprile – conferma da Fianga, nel sud del paese, don Giulio Zanotto - è il periodo più caldo dell’anno. E proprio in questi giorni si capisce tutta l’importanza dell’acqua. Ci sono dei momenti in cui hai solo bisogno di bere. Bevi tanto e alla fine berresti ancora perché non sei stato capace di spegnere la sete che ti bruciava all’inizio. A volte devi bere anche quando non senti lo stimolo della sete: la calura forte ti fa rischiare la disidratazione senza che te ne accorga. Uno dei ricordi più forti che ho dei miei primi mesi in Ciad è la triste vicenda di un giovane sacerdote polacco, anche lui arrivato qui da poco, che quasi senza accorgersene morì di disidratazione. Non sentiva la sete e quando si sono resi conto della situazione, era già troppo tardi”.

Quest’anno, in alcuni dei villaggi della missione di Fianga, la stagione calda fa un po’ meno paura. Merito del Progetto Pozzi, sostenuto anche dal Cesvitem, che introducendo la tecnica della trivellazione manuale cerca di rispondere in maniera sempre più rapida ai bisogni delle comunità. “Grazie al crescente affiatamento tra gli operai dell’equipe - spiega don Stefano Bressan, coordinatore dell’iniziativa -, solo tra fine dicembre e febbraio abbiamo realizzato cinque pozzi: tre in altrettanti quartieri di Kiriou, gli altri due a Forkoumaye e Gamagui. E altri cantieri sono in programma prima di Pasqua”. I lavori in sé sono molto rapidi (una settimana dall’inizio dello scavo alla consegna del pozzo ultimato), ma particolare cura viene dedicata alla sensibilizzazione delle comunità beneficiarie. “Noi garantiamo un contributo di circa 750-900 euro. Ma se il villaggio non versa il suo contributo di 270 mila franchi, circa 400 euro, l’equipe degli operai non si muove. Poi, prima e dopo il cantiere, vengono organizzati quattro incontri, a cui deve partecipare almeno un rappresentante per famiglia, in cui si parla del ciclo dell’acqua, del corretto utilizzo di questa risorsa, dell’igiene in famiglia, delle malattie legate a fonti infette, dell’utilizzo e manutenzione del pozzo, della gestione della cassa”.

Se i miglioramenti apportati dall’introduzione della trivellazione manuale sono evidenti, a Fianga la lista dei bisogni è ancora lunga. “Visitando i villaggi - prosegue don Giulio - è facile rendersi conto di quanto sia forte il bisogno di fonti di approvvigionamento. Ghenghen: 300 famiglie con una sola pompa a disposizione. Oppure Lonko: 440 famiglie con 1 pompa e due pozzi. Ma i casi sono davvero tanti”. Attorno ai pozzi, di giorno come di notte, si raduna senza sosta una folla di persone in attesa di poter riempire le proprie taniche. Si tratta quasi esclusivamente di donne, come sempre in prima linea nella lotta alla sete. “Quando si crea un villaggio, qui la priorità è avere terra da coltivare. Dove si trova la terra, spesso disboscando un pezzo di foresta, lì ci si stabilisce. E siccome per coltivare ci si affida alle precipitazioni, il problema dell’acqua diventa un problema esclusivamente domestico, e in quanto tale di competenza delle donne: sono loro che devono cercarla e trasportarla. Anche facendosi otto chilometri a piedi, come ho visto fare alcuni giorni fa ad un gruppo di donne vicino a Ghenghen”.

Notizia del 04/04/2014


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