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Mozambico, con la siccità arriva il colera

Un pozzo scavato a mano a Nacuca

Mozambico: con la siccità arriva il colera

231 casi e 5 morti è il bilancio dell'epidemia verificatasi a gennaio nel distretto di Monapo, nel nord del paese, dove il Cesvitem lavora con la ong locale Watana: urge intervenire per la realizzazione di un pozzo nel villaggio di Nacuca

Le prime settimane del 2011 sono state molto difficili per il distretto di Monapo, nel nord del Mozambico. A gennaio, infatti, la zona è stata colpita da un’epidemia di colera: in tutto si sono registrati 231 casi, di cui cinque purtroppo mortali. “I primi casi - spiega Adolfo Saquina, presidente di Watana, partner del Cesvitem nell’area - si sono registrati a metà gennaio presso il centro sanitario di Carapira. Ben presto le autorità mediche hanno individuato l’origine dell’epidemia a Nacuca, un villaggio di circa 7 mila abitanti situato a dodici chilometri da Monapo”.

L’intervento delle autorità è stato molto rapido, anche per il timore che l’epidemia si potesse diffondere verso le vicine città di Nampula e Nacala, con conseguenze ancor più gravi. “A Nacuca - prosegue Adolfo - è stato montato un piccolo ospedale da campo, con alcune tende per ricoverare i malati e tenerli separati dal resto della popolazione. La risposta della comunità locale è stata sicuramente positiva: hanno messo a disposizione del personale sanitario gli spazi della chiesa del villaggio e hanno collaborato attivamente per prestare assistenza ai casi più gravi. Non è una cosa da poco: spesso, in casi simili, la gente protesta contro medici ed infermieri, o addirittura danneggia le strutture sanitarie, accusando ingiustamente il personale sanitario di favorire il propagarsi della malattia”.

Grazie a questo pronto intervento, l’epidemia è stata fortunatamente tenuta sotto controllo: tra i cinque decessi registrati, solo uno si è verificato tra i pazienti ricoverati presso l’ospedale da campo. Ma i problemi di fondo restano. “Non è stata una fatalità - sottolinea Adolfo -. A Nacuca mancano completamente fonti di acqua potabile e servizi igienici. La gente si serve di pozzi scavati a mano, profondi pochi metri, e le latrine sono tutte a cielo aperto. In queste condizioni, basta un periodo di scarse precipitazioni, come quello verificatosi negli ultimi mesi, per far precipitare la situazione dal punto di vista sanitario”. Per l’assistenza ai malati sono stati installati dei serbatoi provvisori sia a Carapira che a Nacuca, ma non si tratta sicuramente di una soluzione definitiva. “C’è bisogno di un intervento definitivo – conclude Adolfo -. Siamo già in contatto con le autorità per la realizzazione di un pozzo con pompa manuale, in grado di prelevare acqua pulita dal sottosuolo. Per questo, in accordo con il Cesvitem, abbiamo pensato di mettere in stand by il progetto Pozzo Iohane, dirottando i fondi raccolti per la realizzazione di un’iniziativa analoga a Nacuca. Passata la fase acuta dell’emergenza, abbiamo visto con i nostri occhi come la gente continui a usare acqua sporca prelevata dai pozzi scavati a mano, perché purtroppo non ha alternative. L’intervento a Iohane, comunque, è solo rinviato, ma vista l’emergenza verificatasi riteniamo prioritario intervenire nelle zone più colpite dall’epidemia”.

Notizia del 22/02/2010


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