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Perù, autosviluppo contro assistenzialismo

Contadini peruviani al lavoro (foto Saccarola)

Perù, autosviluppo contro assistenzialismo

Stefano Scrocco, studente dell'Università di Padova, sta svolgendo un tirocinio presso la sede del Cesvitem Perù: ecco le sue impressioni sulla realtà peruviana, in bilico tra un assistenzialismo paralizzante e la voglia di riscatto

In questi mesi la sede del Cesvitem a Trujillo, in Perù, sta ospitando Stefano Scrocco, studente di Cooperazione allo Sviluppo dell’Università di Padova. Per la sua tesi di laurea Stefano sta verificando sul campo, tramite l’incontro con istituzioni e contadini locali, la sostenibilità economica di un progetto per il recupero del cotone nativo peruviano, una coltivazione tradizionale messa in crisi negli ultimi anni dalle fibre tessili industriali. Ecco le sue impressioni sulla realtà peruviana dopo due mesi a Trujillo. 

Sono passati quasi due mesi dal mio arrivo in Perù. Due mesi che hanno ribaltato tutte le idee che mi ero fatto prima di partire. Credevo che il Perù fosse tutto alberi, Amazzonia, machete e musica latina. E invece mi ritrovo qui in una città, per tanti versi simile alle nostre, almeno in centro. C’è gente che lavora, che studia, che passeggia: a volte mi sembra di essere a Padova durante una normale giornata di lezioni.

A questo clima di “normalità” contribuisce anche Roosvelt, il guardiano della sede del Cesvitem Perù nonché, a tutti gli effetti, mio coinquilino, compagno di vita peruviana, amico-su cui fare totale affidamento! Anche Roosvelt studia all’università, grazie all’aiuto che una famiglia italiana gli garantisce attraverso il progetto di sostegno a distanza Becas. E parlare con lui è come parlare con i miei amici italiani, stesse esperienze, stesse difficoltà: professori che fanno preferenze, professori impreparati, domande nell’esame che non fanno parte del programma… Insomma, con Roosvelt diventa davvero facile condividere ogni cosa.

Condividere, appunto. Condividere, in spagnolo, si dice “compartir”, letteralmente “dividere in parti uguali”. Una bellissima idea che sta nel cuore dei peruviani, ma che trova ben poche conferme nella realtà. La cosa che più mi impressiona è il forte contrasto tra una piccola minoranza ricchissima e una maggioranza poverissima. In centro ci sono centri commerciali enormi e pieni di tutto, ma appena ti allontani un attimo lungo verso la periferia trovi solo minuscole casette in mattoni crudi, baracche in lamiera e nylon, capanne con il tetto di paglia. Migliaia di persone che vivono, o meglio che sopravvivono, con pochissimo e senza prospettive. Ma questa non è vita. Non è vita non poter mandare i propri figli a scuola, non potersi costruire una casa sicura, non poter nemmeno provare a migliorare la propria condizione.

Il vero problema è quando la gente si abitua a vivere in questo modo. Magari contando, come in questo periodo elettorale, sugli interventi pubblici messi in campo dal governo, a tutti i livelli, per guadagnar voti. E così i peruviani si limitano troppe volte a tirare semplicemente avanti, sapendo che prima o poi, da una parte o dall’altra, un aiuto arriva. Pochi prendono l’iniziativa, soprattutto nelle zone rurali, dove la maggior parte dei contadini non è proprietaria della terra che lavora, e si limita ad eseguire gli ordini di qualche multinazionale su cosa e come coltivare.

Questa mentalità rischia di paralizzare il paese in un perenne assistenzialismo, senza che nessuno si rimbocchi le maniche e dica “qui nel mio Perù c’è questo problema e voglio provare a risolverlo, assieme a tutti i miei concittadini che nutrono la mia stessa preoccupazione”. Il progetto che sto studiando, ma anche tutto il lavoro svolto quotidianamente dagli operatori del Cesvitem, cerca proprio di contrastare questa mentalità, affermando al contrario il principio dell’autosviluppo. I contadini che coltiveranno il cotone nativo non dovranno sentirsi semplici “beneficiari”, ma dovranno essere i protagonisti principali di ogni fase del progetto, senza che qualcuno debba dir loro ad ogni passo cosa fare. È un processo difficile, certo, ma non impossibile, perché sto conoscendo molte persone che voglio prendersi la responsabilità di costruire un futuro migliore per il loro paese. E di rendere concreto lo spirito del “compartir”.

Notizia del 24/11/2010


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