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Quarant'anni in cammino con il Mozambico

Quarant'anni in cammino con il Mozambico

Padre Gino Pastore, missionario comboniano dal 1971 in Africa, racconta i problemi e le speranze di un paese impegnato in una difficile rincorsa allo sviluppo. E che nonostante tutto rappresenta un miracolo

“Quando sono arrivato per la prima volta in Mozambico, nel 1971, c’erano ancora i coloni portoghesi: posso davvero dire di aver visto questa terra cambiare volto una miriade di volte: l’indipendenza, il socialismo reale, la guerra civile, la pace, la democrazia”. I ricordi di padre Gino Pastore, missionario comboniano, sono una vera e propria miniera sulla storia recente del Mozambico. Quarant’anni di testimonianza diretta (tranne una breve parentesi in Italia a fine anni Novanta) che gli fanno dire con convinzione “Il Mozambico di oggi ha tanti, tantissimi problemi. Ma vi assicuro che, rispetto anche a soli dieci anni fa, siamo davanti ad un miracolo”.

Attualmente padre Gino è superiore della missione di Carapira, nel distretto di Monapo, una zona legata a doppio filo all’impegno del Cesvitem nel Sud del mondo. Dalla riabilitazione della Escola Industrial nei primi anni Novanta, alla costruzione della nuova scuola primaria attualmente in corso, sono davvero tanti i progetti di solidarietà realizzati in questa zona rurale del nord del paese.

E proprio Carapira è possibile osservare alcune delle difficoltà che minano il presente e il futuro del Mozambico. “La prima emergenza - spiega padre Gino - è la scuola. Il governo sta facendo uno sforzo enorme a livello di strutture, ma non basta. Il problema è la qualità dell’insegnamento. Troppi insegnanti non sono adeguatamente formati e, soprattutto, motivati. Da un lato è comprensibile, perché si ritrovano davanti a classi di ottanta, cento alunni, oppure insegnano su tre turni giornalieri in tre scuole distanti chilometri l’una dall’altra. Ma dall’altro lato sono troppi i casi di corruzione, di assenteismo, o addirittura di violenza e ricatti sessuali ai danni degli alunni, soprattutto di bambine e ragazze. Così alla fine della dodicesima classe, ovvero della scuola secondaria, ci ritroviamo con studenti che a stento sanno leggere e scrivere. Le scuole migliori sono ancora quelle gestite dagli ordini religiosi, e lo dico con rammarico più che con orgoglio”.   

Ma in una zona rurale anche aver studiato non garantisce di trovare un’occupazione. “Qui l’unico datore di lavoro è lo stato, con i suoi apparati e uffici periferici. L’alternativa sono le società straniere, il cui comportamento non è sempre limpido. Faccio l’esempio di Matanuska, un’azienda per la coltivazione delle banane collegata a Chiquita che dal 2007 si è installata nella zona di Carapira. Con il beneplacito delle autorità, pagando un prezzo irrisorio hanno occupato 12 mila ettari di terreno, facendo sloggiare da un giorno all’altro almeno 7 mila persone. Intere famiglie sono state deportate con i camion, private dei loro campi e delle loro capanne, per le quali hanno ricevuto un indennizzo di meno di 50 euro. Risultato? A causa di problemi di capitali, Matanuska ha finora messo a coltura appena mille ettari. Dei tremila posti di lavoro che erano stati promessi, ne sono stati creati poche centinaia: operai pagati poco più di un euro al giorno, senza diritti e senza coperture in caso di malattia o infortuni”.    

Per padre Gino, però, l’ottimismo è una missione di vita. D’altronde, sorride lui, “per uno che si è ritrovato per ventidue volte la casa invasa dai guerriglieri, il presente, pur con tante ombre, non può che essere luminoso”. “È vero - spiega - le difficoltà sono tante. Ma questo paese, negli ultimi dieci anni, ha fatto passi enormi. Il Mozambico è uno dei pochissimi paesi africani con una democrazia ormai salda, con elezioni regolari. È cresciuta la partecipazione e la dignità della gente, in parlamento su 250 deputati 106 sono donne. Le tensioni tribali sono minime e la stampa è libera. Se pensiamo che qui fino ad ottant’anni fa era in vigore di fatto la schiavitù e che nemmeno vent’anni fa finiva la guerra civile con la sua scia di un milione di morti, parlare di miracolo non è davvero fuori luogo”.

L’intervista completa a padre Gino Pastore sarà pubblicata nel prossimo numero del Girotondo.

Notizia del 20/07/2010


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