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Acqua: il fallimento del Forum mondiale di Istanbul

L'acqua riconosciuta come "bisogno" e non come "diritto". Barbera (Cipsi): "Una risposta ridicola di fronte alla gravità crescente della crisi idrica"

Venti capi di Stato. 180 ministri dell’Ambiente. 30.000 delegati, cittadini, rappresentanti della società civile arrivati a Istanbul da tutto il mondo. Una grande mobilitazione, ma alla fine il V Forum mondiale dell’Acqua, tenutosi in Turchia dal 16 al 22 aprile, si è concluso con una sconfitta: l’acqua non è stata riconosciuta come diritto universale dell’umanità, ma solo come bisogno fondamentale: . “La differenza tra bisogno e diritto è sostanziale - spiega Guido Barbera, presidente del Cipsi -. Affermare che l’acqua è un diritto significa riconoscere che la collettività ha la responsabilità di creare le condizioni affinché questo diritto possa essere garantito. Inserirla invece nella sfera dei bisogni significa individuare nella capacità economica del singolo la soddisfazione di tale bisogno”.

Le premesse non erano buone: il Forum è infatti promosso dal World Water Council, organismo privato composto da oltre un centinaio di organizzazioni tra cui le più potenti multinazionali dell’acqua, che hanno di fatto il controllo dei World Water Forum. Ma resta inaccettabile, denuncia Barbera, “che si continui a sacrificare la vita di un bambino ogni 17 secondi agli interessi del mercato e del potere di pochi. Sarebbero sufficienti 180 miliardi di dollari l’anno per dieci anni per garantire l’accesso all’acqua ed ai servizi igienici per tutti gli abitanti della Terra. Invece i governi negli ultimi mesi hanno dato più di 12.000 miliardi di dollari alle banche e ai dirigenti che quotidianamente condannano a morte migliaia, milioni di vite”.

Ora più che mai è necessario che “il mondo agisca immediatamente per evitare una crisi idrica globale dovuta all'aumento della popolazione, all'innalzamento del tenore di vita, ai cambiamenti nell'alimentazione e alla maggiore produzione di carburante”, avevano esortato le Nazioni Unite presentando il loro rapporto a pochi giorni dall'apertura dei lavori del Forum. Entro il 2030, in poche parole, si rischia che metà della popolazione mondiale sia assetata. “Le decisioni assunte - sottolinea Barbera - sono una risposta ridicola di fronte alla gravità crescente della situazione idrica, risultato di una politica sempre più condizionata dalle multinazionali che dall’acqua traggono enormi profitti”. Eppure tutte le esperienze di privatizzazione finora realizzate non hanno risolto i problemi di distribuzione dell’acqua. I costi aumentano, la gestione peggiora. Così i meno abbienti non possono accedere ai servizi; e le stesse multinazionali non fanno affari: nei paesi impoveriti molte concessioni sono state restituite perché non fruttifere alla società. L’acqua è vita e come tale deve essere garantita a tutti. “Alle imminenti elezioni amministrative ed europee - conclude Barbera - contrastiamo la lobby delle multinazionali dell’acqua e votiamo esclusivamente persone che si impegnano concretamente a far riconoscere l’acqua come diritto universale, a garantirne una gestione pubblica e a portarne la quantità indispensabile per la vita, 40 litri al giorno, a tutti i cittadini del mondo”.

Notizia del 23/03/2009


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