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Il Perù alle urne nell'indifferenza

L'attuale presidente del Perù Alan Garcia

Il Perù alle urne nell'indifferenza

Il 10 aprile si voterà per il primo turno delle presidenziali. Nessun volto nuovo, poche idee, la lotta alla corruzione e alle disuguaglianze finisce nel dimenticatoio. Di Attilio Salviato

Il prossimo 10 aprile sarà una data importante per il Perù. In quel giorno si terrà infatti il primo turno delle elezioni presidenziali, il culmine di un anno elettorale caratterizzato da molta propaganda e nessun progetto davvero innovativo per il paese.

Saranno ben undici i candidati che si contenderanno la successione dell’attuale presidente Alan Garcia. Per un paese di meno di 30 milioni di abitanti, concentrati per più della metà in tre sole città, tanta varietà di scelta è una novità assoluta. Ma, soprattutto, è un indicatore della grande frammentazione sociale di cui soffre il Perù. A guardar bene non c’é nessuna figura nuova tra i candidati, se non ricchi e navigati politici protagonisti di tutta la storia peruviana recente, timorosi che un vero cambiamento promosso dalla base sociale del paese intacchi interessi consolidati. Dando un’occhiata ai sondaggi, i candidati al momento più accreditati sono personaggi come Alejandro Toledo, già presidente dal 2001 al 2006, che chiuse il suo mandato con la fiducia di appena l’8% dei peruviani. O come Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente-dittatore condannato a 25 anni di carcere per gli abusi commessi tra il 1990 e il 2000. O come Luis Castañeda, altro politico di lungo corso, ex sindaco di Lima.

In questo periodo sentiamo lodare a livello internazionale l’enorme balzo economico del vicino Brasile. Una realtà, come dimostrano proprio le vicende elettorali, lontanissima dal Perù, nonostante la medesima collocazione geografica e la condivisione di molte problematiche socio-economiche. L’assenza di partiti con una ideologia di base e i forti personalismi che caratterizzano la politica peruviana (tantoché le liste elettorali sono legate esclusivamente al candidato presidente) impediscono una reale dinamica democratica e una vera rappresentanza dei gruppi sociali, a tutto vantaggio delle lobbies di potere che controllano le leve economiche del paese.

Poche le idee programmatiche. A parole tutti promettono giustizia e lavoro, mentre dai dibattiti è scomparso un tema fondamentale come quello dell’equità. Politiche redistributive come la “borsa famiglia” brasiliana (sussidi alle famiglie più povere condizionati, tra l’altro, alla frequenza scolastica dei figli) qui sembrano un miraggio. Per non parlare della terribile piaga della corruzione, completamente sottaciuta. O del vuoto generazionale, la mancanza di giovani volenterosi di affrontare i nodi del sottosviluppo, della sfrenata urbanizzazione, delle migrazioni interne che stanno svuotando le regioni lontane dalla costa. Niente di nuovo sotto il sole. Se il Brasile ha rotto gli indugi, avviandosi sulla strada dell’autosviluppo e della lotta alla disuguaglianze, il Perù sparisce dai riflettori dell’attualitá per l’incapacità di far valere quelle che sono le sue specificità e le sue capacità.

Probabilmente il voto del 10 aprile non sarà decisivo: data la polverizzazione delle candidature, nessuno raggiungerà la maggioranza e si dovrà attendere il ballottaggi tra i due candidati che avranno ottenuto più voti. Altri mesi di estenuante propaganda per accattivarsi un pubblico indifferente, in una democrazia figlia della globalizzazione in cui, alla fine, il conto lo pagano sempre i poveri.

Notizia del 22/03/2011


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